E’ il 2015 quando a soli 17 anni Chiara conosce per caso, chiacchierando tra i corridoi di un centro specializzato, una delle nostre volontarie. Dopo quell’ abbraccio inizia a frequentare attivamente l’A.P.E., con quel sorriso e quella determinazione che la contraddistinguono e che oggi la vedono parte attiva del gruppo di sostegno di Roma. Abbiamo voluto chiedere a lei cosa significhi convivere con l’endometriosi quando si è così giovani ed in che modo sia importante comunicare nel modo giusto con le giovani donne.
La sensazione è che le pazienti affette da endometriosi siano sempre più giovani, tu stessa hai iniziato a conoscere l’endometriosi da giovanissima: in che modo l’A.P.E. ti ha aiutata ad affrontare l’impatto sulla tua qualità di vita? È stato un percorso nato per caso?
L’A.P.E. mi ha aiutato moltissimo. Mi ha guidato nel mio percorso di accettazione della malattia, un percorso difficile e lungo, è stata la mia ancora alla quale attaccarmi e trovare risposte, ha fatto luce rendendomi più consapevole e mi ha aiutato a convivere meglio con questa malattia. Ho imparato a vedere i lati positivi dell’endometriosi, ho conosciuto delle volontarie fantastiche, solari, sempre disponibili e con la mano tesa pronte ad aiutarti. Nonostante il mio incontro con l’A.P.E. sia stato del tutto casuale ho deciso di partecipare ai vari incontri, eventi, tavoli informativi che venivano organizzati nella mia zona e soprattutto di essere una volontaria attiva per dare alle donne, in particolare alle giovani ragazze, quanto è stato dato a me.
Spesso ti sarai trovata a dover spiegare ad amiche e compagne quello che stavi affrontando e non sempre sarà stato semplice farlo, in una realtà fatta di giovani con tanta voglia di fare. Credi che con una maggiore consapevolezza sociale il tuo percorso sarebbe stato differente?
Sicuramente sì, avrebbe reso il percorso diverso. Quando i tuoi coetanei escono e tu ti ritrovi a casa, rannicchiata sul tuo letto per i dolori oppure quando preferisci non uscire per paura di sentirti male non è facile. Sono tante le volte in cui mi sono sentita incompresa, provavo a spiegare i miei dolori, la malattia, ma niente, sembrava tutto inutile tanto che ad un certo punto preferivo non dire niente a nessuno. Ricordo i giorni in cui magari avevo delle interrogazioni o dei compiti in classe: la mattina mi svegliavo, stremata dai dolori, ma ad ogni costo andavo, facevo l’interrogazione senza dire niente a nessuno e poi tornavo a casa. Avevo paura dell’immagine che potesse passare di me, sentivo come di deludere chi mi stava intorno, preferivo quindi non mostrare questo mio lato e tenerlo solo per me. Quindi sì: credo che una maggiore consapevolezza avrebbe completamente cambiato la mia situazione, ad esempio aiutandomi a non dover nascondere il mio dolore.
Uno dei progetti dell’A.P.E. guarda proprio a giovani donne come te, lanciando messaggi di prevenzione, ma anche imparando a riconoscere i campanelli d’allarme di una malattia che spesso è già evidente tra i banchi di scuola. Ma in che modo credi che il progetto Comprend- endo* possa essere di aiuto, anche per creare nelle giovani donne che NON hanno l’endometriosi una sorta di empatia verso chi soffre?
Comprend-endo è un progetto al quale credo molto. Spesso mi domando cosa sarebbe successo o semplicemente cosa avrei pensato se nella mia scuola qualche anno fa fossero venuti a parlarmi di endometriosi. Credo che sia un’opportunità davvero unica che viene data alle ragazze, in primis perché non subentra il fattore vergogna, non sono le ragazze che vanno a cercare degli specialisti ma sono questi che vanno da loro, e poi perché è un momento di consapevolezza non solo perché aiuta le ragazze a venire a conoscenza di questa patologia, ma anche per le persone che devono relazionarsi con qualcuno che ha l’endometriosi, poiché le accompagna a capire come si possano sentire a livello emotivo e non solo.
La vita di oggi ci impone risposte immediate, inoltre spesso subentra il fattore “vergogna” in chi cerca aiuto attraverso internet e social media. Educare attraverso la rete è possibile o credi che serva più di questo tra i giovani?
Educare attraverso la rete è sicuramente un primo step, realizzabile soprattutto quando i destinatari sono i giovani. Oggi giorno si consulta il web di continuo, basta un click e si ottengono migliaia di risultati. È quindi importante dare ai giovani l’opportunità di informarsi sul web soprattutto perché molti di loro, trovandosi in una tale situazione, potrebbero provare vergogna nell’avere un confronto diretto, tuttavia non credo sia sufficiente perché a volte la profondità e la produttività che può darti un contatto più ravvicinato è maggiore.
Così giovane eppure sempre così positiva, c’è una riflessione che senti di voler condividere con coloro che faticano a ritrovare il sorriso in questo momento?
Quello che voglio dire a coloro che in questo momento sentono che tutto sta andando male è di fermarsi un attimo, guardarsi dentro, scoprire tutta la forza che c’è in loro, perché ognuna di noi ne ha veramente tanta, e di partire da qui. Noi non siamo l’endometriosi ma abbiamo l’endometriosi, e anche se questa toglie molto, è in grado di dare altrettanto. Personalmente mi sento di dover dire grazie all’endometriosi oggi, perché mi ha dato la possibilità di essere la persona che sono, con molte cicatrici ma altrettanti sorrisi, di avermi fatto ricevere abbracci che valevano più di mille parole, e di avermi dato la forza e la voglia di donare ora, io per prima, quegli stessi abbracci a chi come me si ritrova ad affrontare questa malattia.
(Sara Beltrami)
Questo articolo è stato Pubblicato sul Pungiglione n.44 di Agosto 2017 il notiziario dell’A.P.E. Onlus, scopri QUI come abbonarti!
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